La scienza cognitiva e la naturalizzazione del contenuto
Cognitive science and the naturalization of content
Ormai da diversi anni il paradigma dominante della scienza cognitiva classica –il funzionalismo computazionale– è divenuto oggetto di aspre critiche. Alcune di queste critiche sono state recepite in modo costruttivo, nel senso che è parso possibile operare alcune modifiche locali senza rimettere completamente in discussione l’assunto centrale, la tesi secondo cui i processi mentali sono computazioni su rappresentazioni mentali; altre, invece, se fondate, comportano un vero e proprio cambiamento di paradigma, sebbene non sia sempre chiaro in che cosa esattamente consista l’alternativa. In particolare, non tutti sono d’accordo sul fatto che il modello di spiegazione alternativo più popolare, la teoria dei sistemi dinamici non lineari, costituisca una vera e propria rottura col paradigma computazionale. Nel complesso, l’atteggiamento conciliatorio, ispirato a un pluralismo esplicativo, è prevalso su quello rivoluzionario (cfr. ad es. Clark 1997).
Negli ultimi anni, tuttavia, le critiche si sono inasprite e raffinate. Da Chemero (2009) a Gallagher (2017), passando attraverso Hutto e Myin (2013; cfr. anche 2017), la critica ha spostato l’accento dalla questione strettamente epistemologica di quali modelli siano più appropriati nello studio della mente a un piano filosofico più generale, cercando di mostrare le radici filosofiche “nobili” del paradigma alternativo (denominato “scienza cognitiva radicalmente incarnata” –RECS– o enattivismo), identificate con il pragmatismo americano (specialmente Dewey), il Wittgenstein delle Ricerche, alcuni aspetti della fenomenologia che si trovano in Husserl e (soprattutto) Merleau-Ponty. Il bersaglio polemico principale di queste critiche è il concetto di rappresentazione e la correlata visione internista dei fenomeni mentali.
Tra le argomentazioni dispiegate in questi lavori una, quella di Hutto e Myin, è imperniata sull’idea che la scienza cognitiva rappresentazionale possa funzionare soltanto a condizioni di naturalizzare la nozione di contenuto. Poiché questo è impossibile, la scienza cognitiva rappresentazionale fallisce. La ricerca che proporrò nelle lezioni previste nel periodo di visiting discute in primo luogo questo problema. Cercherò di far vedere che i problemi che affliggono la nozione di contenuto non colpiscono necessariamente la nozione di rappresentazione. La correttezza delle spiegazioni computazionali non dipende dal successo dei cosiddetti programmi di naturalizzazione dell’intenzionalità; e la questione della natura degli stati mentali del senso comune va tenuta distinta, per quanto possibile, dalla questione di come si debba studiare la mente. Il rapporto tra la visione della mente del senso comune (la cosiddetta “immagine manifesta”) e l’immagine scientifica non è ancora, da questo punto di vista, felicemente risolto.
In secondo luogo, discuterò il problema del rapporto tra la visione filosofica generale della RECS e le specifiche indicazioni relative ai modelli di spiegazione (ad esempio, la teoria dei sistemi dinamici non lineari), in particolare sotto l’aspetto dell’ambito di copertura di tali modelli. Sosterrò che l’applicabilità di questi ultimi sembra essere ristretta ad alcuni processi, in quanto non si riesce bene a capire come fare a meno delle rappresentazioni per altri processi. In questo senso il pluralismo esplicativo sembra ancora essere l’opzione migliore.