ALESSANDRO CAIANI, economista
Mi sono affacciato all’età adulta negli anni a cavallo tra i due secoli. Erano gli anni della rivoluzione ICT, con la diffusione su larga scala dei computer e dei cellulari e la crescita esponenziale di Internet. Erano anche gli anni in cui nasceva l’Euro, scomparivano le dogane e sembrava affermarsi un’Europa senza più confini interni a separare gli Stati. L’arrivo del nuovo secolo portava con sé la promessa di una società in cui le distanze si sarebbero annullate rendendoci tutti cittadini di un unico “villaggio globale”. Tutto ciò era reso possibile da un modello di organizzazione della società e dell’economia che, secondo molti, rappresentava il culmine di un processo evolutivo millenario e che, grazie al suo dinamismo tecnologico e alla sempre maggiore integrazione economica internazionale, avrebbe portato un benessere diffuso, ponendo le basi per una pace globale duratura: era “la fine della Storia”.
Anche in Economia la convinzione diffusa era che il paradigma dominante avesse ormai individuato le ricette corrette per risolvere i grandi problemi delle nostre società. Quando cominciai gli studi economici la didattica rifletteva questa visione monolitica. L’Economia forniva il modello ideale al quale le società dovevano conformarsi, spiegandoci come le decisioni prese da soggetti iper-razionali allo scopo di massimizzare il loro tornaconto personale garantissero quasi sempre, in un’economia di mercato, l’utilizzo più efficiente delle risorse e il raggiungimento del massimo benessere collettivo. Grazie alla cristallina chiarezza della propria architettura matematica, l’Economia rivendicava la propria autonomia e il proprio primato sulle altre scienze sociali. Gli aspetti storici, politici, sociologici e comportamentali venivano quasi completamente estromessi dall’analisi.
Come studente, per me questo rappresentava un’enorme fonte di frustrazione.
Il mio interesse per gli studi economici era nato dall’esperienza dei grandi movimenti globali che auspicavano un modello di sviluppo più equo, inclusivo e attento alla sostenibilità ambientale. Leggendo le critiche di Ha-Joon Chang alle politiche per lo sviluppo, o l’analisi dei sistemi di welfare della Scuola della Regolazione francese, o le critiche al processo di globalizzazione dei mercati di un gigante come Noam Chomski e di un “ortodosso eretico” come Joseph Stiglitz, con cui anni dopo ho avuto la fortuna di lavorare, mi ero innamorato di un’Economia che faticavo a ritrovare nei miei libri di testo. Per buona parte del mio percorso formativo ho quindi dovuto coltivare i miei interessi in modo autonomo e parallelo rispetto agli studi universitari.
Oggi la situazione è al tempo stesso diversa e simile rispetto a quegli anni. Diversa, perché gli eventi degli ultimi due decenni hanno mostrato che la Storia continua a fluire e che talvolta ripropone pagine pericolose del passato. In Economia, l’incapacità di fronteggiare le grandi crisi economiche globali e la consapevolezza crescente dei pericoli climatici e ambientali, hanno favorito la nascita di nuovi ambiti di ricerca: l’economia dei cambiamenti climatici, l’economia della complessità, l’analisi delle reti, l’economia sperimentale e comportamentale sono alcuni esempi di branche in rapida espansione, caratterizzate da un orientamento multidisciplinare. Tuttavia, la didattica rispecchia ancora largamente lo stesso approccio monolitico del passato.
L’Economia che vorrei è invece una disciplina finalmente pluralista e aperta alle contaminazioni con altri ambiti di studio, sia nella didattica che nella ricerca. Allo IUSS ho trovato il posto ideale per realizzare questo desiderio. Nell’ attività di didattica sono libero di esplorare temi che normalmente non trovano spazio nei corsi curriculari universitari. I nostri studenti non solo hanno la possibilità di approfondire argomenti e metodologie del loro ambito di studio, ma sono incentivati ad affrontare insegnamenti in ambiti completamente differenti. Nella mia attività di ricerca, studio gli effetti dei cambiamenti climatici e le politiche per la transizione verde collaborando con ingegneri, esperti di machine learning e fisici del clima, cercando di combinare metodologie proprie dell’analisi economica con modelli d’impatto ingegneristici e modelli climatici di previsione, allo scopo di superare i limiti dei tre ambiti presi isolatamente. Questa contaminazione è spesso complicata e gli esiti sono incerti, ma allo IUSS siamo convinti che questa sia la via più proficua per affrontare le sfide odierne, fedeli al nostro motto Sapere Aude!.