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L'universo che vorrei
Testo

Andrea Tiengo, Astrofisico

L’astrofisica è una scienza un po’ diversa dalle altre perché non c’è alcuna possibilità di interagire con ciò che si studia: quelli che nelle altre scienze sono “esperimenti”, per gli astrofisici sono “osservazioni”. Se infatti escludiamo il Sistema Solare, tutti gli oggetti astronomici sono troppo distanti per subire una qualunque influenza umana. Questa condizione passiva può essere un po’ frustrante, ma è allo stesso tempo rassicurante: l’umanità potrà anche devastare il proprio pianeta, ma buona parte dell’Universo può stare tranquilla, almeno per un po’…

Ma allora, che senso ha parlare dell’Universo che vorrei? No, non è il delirio di un pazzo megalomane, come qualcuno potrebbe pensare. E non posso neppure augurarmi che l’Universo possa evolversi spontaneamente in una qualche forma particolarmente favorevole, per lo meno sulla scala temporale della nostra breve vita. Ciò che però cambia a una velocità incredibile è la nostra conoscenza dell’Universo stesso, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e alla capacità umana di utilizzarle e interpretarne i risultati. 

Trent’anni fa ero da poco diventato maggiorenne e frequentavo l’ultimo anno di scuola superiore, che mi avrebbe portato all’esame di maturità e alla scelta (difficile, ma suggerita dal fascino irresistibile dell’astrofisica) di iscrivermi al corso di laurea in Fisica. All’inizio del 1993 il telescopio spaziale Hubble era già operativo, ma solo nel mese di dicembre sarebbero state corrette le sue ottiche, rendendolo, fino al recente lancio del James Webb Space Telescope (principale innovazione del 2022, secondo la rivista Science), il nostro occhio più acuto sull’Universo. Era poi stata appena annunciata la scoperta dei primi pianeti al di fuori del Sistema Solare, intorno a una stella di neutroni, ovvero un cadavere stellare che concentra in pochi chilometri tutta la massa di una stella più grande del nostro Sole. Due anni dopo, invece, sarebbe arrivata la scoperta di un pianeta in orbita intorno a una stella simile al Sole e, da allora, il numero di pianeti noti ha ormai superato le diverse migliaia. Fin dai tempi di Giordano Bruno si immaginava l’esistenza di pianeti intorno ad altre stelle, ma in pochi avevano previsto una così rapida esplosione di conoscenze in questo settore. 

Un’altra scoperta inaspettata avvenuta prima della fine del millennio è stata l’evidenza di un’espansione accelerata dell’Universo, che conferma come energia e materia oscura, chiamate così proprio perché ancora non sappiamo esattamente cosa siano, costituiscano oltre il 95% dell’Universo. In anni più recenti, nel 2015, sono state rilevate le prime onde gravitazionali, prodotte dalla fusione di due buchi neri: avevamo già evidenze convincenti dell’esistenza sia delle onde gravitazionali sia dei buchi neri, ma questa singola misura, seguita da altre decine di segnali analoghi, ne è stata la conferma più diretta. A queste scoperte sono poi seguite le onde gravitazionali prodotte dalla fusione di due stelle di neutroni e la prima immagine, nella banda delle onde radio, di un buco nero.

Le onde gravitazionali hanno aperto una nuova finestra sullo studio del nostro Universo, che si va ad aggiungere a quella delle onde elettromagnetiche e delle particelle di origine cosmica. Ma anche queste tradizionali finestre sul cosmo si sono enormemente allargate negli ultimi decenni, grazie principalmente alle missioni spaziali che ci permettono di studiare il cielo anche attraverso le radiazioni che non riescono ad attraversare l’atmosfera terrestre. Questo vale in particolare per i raggi X, di cui mi occupo soprattutto nel mio lavoro di ricerca. Tra tutte le sorgenti cosmiche di raggi X, poi, l’obiettivo principale della mia ricerca sono le magnetars, stelle di neutroni che ospitano i campi magnetici più intensi mai osservati nell’Universo. Anche in questo caso, la loro esistenza ci era ignota fino a tempi recenti, essendo stata ipotizzata solo nel 1992.

A conferma di quanto queste scoperte abbiano inciso sulla nostra conoscenza dell’Universo, possiamo osservare che nell’ultimo ventennio più di un quarto dei premi Nobel per la Fisica sono stati assegnati nell’ambito dell’astrofisica. E questa percentuale è davvero impressionante se aggiungiamo che il numero di premi assegnati a queste scoperte è lo stesso di quelli distribuiti per tematiche legate all’astrofisica in tutto il secolo precedente. La nostra conoscenza dell’Universo sta quindi cambiando molto velocemente e io vorrei che l’umanità ne fosse pienamente consapevole: tutte le scienze fanno progressi incredibili, ma solo l’astrofisica è in grado di fornirci il quadro generale, aiutandoci a guardare oltre il nostro giardino di casa e stimolandoci a riflettere su quanto siano effimeri i confini che abbiamo creato sul nostro minuscolo pianeta e nella nostra mente. Oggi c’è poi la possibilità di diffondere le scoperte scientifiche in maniera immediata e capillare e addirittura coinvolgere, attraverso le nuove tecnologie, la cittadinanza nel processo di analisi e interpretazione delle osservazioni astronomiche. Questo è l’Universo che vorrei: che si continuino a svelare i suoi segreti e che questi siano fonte di ispirazione per il maggior numero possibile di persone.