Salta al contenuto principale
La matematica che vorrei
Testo

SILVIA DE TOFFOLI, filosofa

Ero in Erasmus a Parigi ed esploravo nuove aree della matematica, e della vita. Nella prima lezione di topologia, il nostro professore ci disse di comprare dei pennarelli colorati. Fummo sorpresi. La matematica che ero abituata a fare era in bianco e nero, mi era sempre bastata una penna. Invece la matematica che ho imparato a Parigi è colorata. È questa la matematica che vorrei. È una matematica divertente ma non per questo meno rigorosa, anzi. È autentica e comprensibile e ci obbliga ad imparare a vedere più nitidamente. Henri Poincaré diceva che il compito più importante di chi insegna la matematica è quello di sviluppare l’intuizione degli allievi. L’intuizione, infatti, non è qualcosa con cui si nasce, bensì qualcosa che si coltiva. Si sviluppa usando i pennarelli colorati per risolvere dei problemi di topologia, disegnando, sbagliando e ridisegnando. 

Uno degli aspetti più significativi di fare matematica è che è la facciamo noi, questa sembra una banalità ma non lo è. Nelle altre scienze dobbiamo fidarci di chi ha fatto gli esperimenti, dell’accuratezza dei dati riportati nei libri o negli articoli. Nella matematica non dobbiamo fidarci di nessuno, né accettare alcuna autorità esterna, ma solo imparare a pensare da soli. E tutti possiamo farlo. Certo, da qualche parte dobbiamo partire, ma poi se un teorema è davvero un teorema è qualcosa di cui possiamo accertarci autonomamente. 

A volte non si capisce niente, perché la matematica è difficile. Ma allora dobbiamo avere pazienza e non avere paura di non capire, ma avere il coraggio di imparare a capire. Con i nostri modi e i nostri tempi. E soprattutto, non dobbiamo avere paura di sbagliare. Contrariamente a quanto si pensa troppo spesso, i matematici fanno tantissimi errori. Sbagliano in continuazione. Ma imparano anche dai loro errori, e con l’esperienza sbagliano meglio e usano i loro errori in maniera creativa. Possiamo quindi sbagliare anche noi.

La matematica che vorrei è inclusiva in quanto abbraccia una moltitudine di modi diversi di ragionare. C’è chi si diverte a risolvere problemi algebrici manipolando formule, altri dalle formule vorrebbero trovare riparo il prima possibile ma magari amano l’arte e se venissero introdotti alle geometrie amerebbero anche quelle. La matematica che vorrei non è un blocco monolitico ma un bouquet di fiori dal quale ognuno può estrarre quello il cui odore lo seduce di più, quello il cui colore gli si addice di più.

E non è solo una matematica diversa, quella che vorrei, ma anche un’immagine diversa della matematica. Molti sono intimoriti dalla matematica – ma questo è perché hanno un'idea vaga e limitata di questa disciplina. E anche la filosofia della matematica ha quasi sempre considerato la matematica come un dominio di verità immutabili inaccessibile ai più.

Ma è davvero così? Indagare le diverse sfaccettature della pratica matematica, come quelle in cui usiamo i pennarelli colorati e ci sbagliamo ma poi riusciamo anche a risolvere dei problemi concreti, ci obbliga a guardare alla matematica come a un'attività umana piuttosto che a un dominio di verità inaccessibili. Svelare il lato umano della matematica la rende più caotica, sì, ma anche più accessibile, più colorata e più sexy. 

Quindi lasciamo pure da parte questa frigida matematica monocromatica (che poi non è mai stata la vera matematica, ma solo un’immagine che purtroppo tanti ancora si tengono stretta) e apriamo gli occhi a questo mondo matematico variopinto.

E poi, come diceva Brouwer, la matematica è una specie di architettura interna. È qualcosa che facciamo ma che allo stesso tempo ci fa, nel senso che facendo matematica creiamo chi siamo, ci forgiamo il carattere, per così dire. La matematica è una disciplina del pensiero che affila la mente.

La matematica che vorrei è un casino, a volte è difficile (ma tutte le cose davvero importanti sono difficili), ma è inclusiva, autentica, e soprattutto è coloratissima. È una matematica bellissima!