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La cura che vorrei
Testo

ANNALISA BONFIGLIO, bionigegnere

Mi raccontava mio padre che quando lui era un bambino i medici condotti venivano a visitare i pazienti, entravano nella stanza e, inspirando l’aria, sentenziavano “Questo ha la polmonite!”. Certamente avevano meno mezzi per combatterle, le polmoniti, e negli anni 40 ancora si poteva morire perché la penicillina non era ancora diffusa come lo è oggi. Tuttavia, è innegabile che, nello spazio di una vita umana, si è passati da una diagnostica ancora basata sui sensi (analogici) del medico ad una basata sulla tecnologia (digitalizzata) delle macchine, che sono in grado di misurare, con precisione e ripetibilità, un gran numero di parametri. Cosa ci aspetta domani? Invecchieremo in un mondo in cui la medicina ha fatto passi da gigante in ogni direzione: molte malattie sono state debellate, alcune decisamente ridimensionate. I “mali incurabili” di cui si parlava sottovoce fino ad un po' di anni fa, magari non sono diventati guaribili ma nella maggioranza dei casi sono divenuti problemi con i quali convivere avendo i mezzi per mantenere una qualità di vita ragionevole. Sebbene la realtà non sia priva di chiaroscuri, non possiamo che essere globalmente fieri dei progressi della Medicina e della Tecnologia Biomedica: nessuno si sognerebbe di tornare indietro. 

La diagnostica allungherà il passo verso il riconoscimento precoce dei primi segni di una malattia, aiutata da una tecnologia che si farà sempre più capillare e discreta. L’avvento delle tecnologie indossabili, che fino a qualche tempo fa sembrava solo una moda per sportivi della domenica ossessionati dall’ultimo gadget, renderà possibile monitorare giorno per giorno, senza quasi accorgercene, la nostra salute. Come la scatola nera per un aeroplano, avremo l’opportunità di registrare in modo impercepibile (magari con un piccolo tatuaggio) migliaia di segnali prodotti dal nostro corpo, e grazie all’intelligenza artificiale resa possibile da macchine di calcolo sempre più potenti, saremo in grado non solo di monitorare ciascuno di essi ma anche di correlarli trovando inattese relazioni, indizi sempre più probanti di uno stato generale ricco di  tutte le sfumature che fanno di noi una persona più o meno sana, qualunque cosa questo voglia dire. Anche su questo ci sarà da riflettere: cosa definisca il nostro “stare bene” è quasi un problema mal posto, che ha radici profonde in ciò che fa di noi quello che siamo. La domanda primordiale è un’altra: Cosa fa di me me? Cosa differenzia me da un mio gemello che ha vissuto un’altra vita? Sono passati solo 20 anni dal completamento del sequenziamento del Genoma Umano, per molto tempo ritenuto il Sacro Graal della Biologia, ma è oramai chiaro che la nostra vera essenza biologica è più di quanto sia la sequenza dei geni del nostro DNA e si compone di quello che abbiamo vissuto, cosa abbiamo mangiato, persino l’educazione che abbiamo avuto. Nuovi dati si aggiungono a quelli che potremo rilevare con i potenti sensori di cui disporremo e questi dati serviranno a tracciare un nostro ritratto sempre più preciso, sempre più vicino a ciò che siamo per davvero e ciò sarà utile per tracciare in modo esatto non solo la diagnosi, ma un’ipotesi di cura che si adatti per davvero alle nostre esigenze e che tenga conto nei dettagli di tutte le nostre caratteristiche. 

La visione di una cura più a misura della persona è la prospettiva positiva che guida oggi lo sviluppo delle tecnologie e delle metodologie biomedicali e che, al tempo stesso, da l’immediata percezione della complessità dei problemi, scientifici, tecnici, gestionali, etici che si porranno man mano che questa evoluzione diventerà realtà. Questa è la cura che vorrei!