Una curiosità degna di nota è che tra i vari elementi comuni a tutte le lingue naturali c’è la negazione. Questo ci suggerisce che la negazione sia un meccanismo insito nella cognizione umana, un po’ come la capacità di distinguere diverse numerosità, che accomuna anche i neonati con poche ore di vita. Ma se tutte le lingue naturali prevedono una negazione, indipendentemente dai diversi aspetti culturali dei parlanti, cosa succede all’interno del nostro cervello quando neghiamo verbalmente (o sentiamo qualcuno che lo fa)? Non lo sappiamo ancora bene: le basi neurali della nostra capacità cognitiva di elaborare una negazione sono misteriose perché la negazione è un'operazione linguistica complessa che non si limita a invertire il significato di una frase, ma lo modifica in modi più sottili. Capire come il cervello gestisce questa complessità richiede strumenti sofisticati e approcci innovativi.
Il Prof. Moro ha recentemente approfondito questo tema, evidenziando le sfide che la negazione presenta per la cognizione umana. Secondo il Prof. Moro, la negazione implica un’assenza. In parole semplici: se io dico “Il gatto non è sul tavolo”, non solo il gatto potrebbe essere da qualsiasi altra parte, ma sul tavolo potrebbero esserci moltissimi altri oggetti. La conseguenza è che la negazione richiederà più tempo per essere processata rispetto alle affermazioni (ok, ho un’informazione, cioè quella che sul tavolo non c’è nessun gatto. Ma dov’è il gatto? E cosa c’è sul tavolo?), e che non ci restituirà un’immagine mentale precisa. Gli elementi da analizzare aumentano, e con essi i tempi di reazione: questo rende difficile isolare e studiare le specifiche reazioni neurali associate alla negazione.
Negli ultimi anni, però, la ricerca ha cercato di indagare questo aspetto attraverso alcuni escamotage. Lo hanno fatto per esempio alcuni ricercatori, coordinati da Arianna Zuanazzi, analizzando l’effetto della negazione sugli aggettivi scalari e restituendo i risultati in un articolo su Plos Biology. Il Prof. Moro ha sottolineato l'importanza di tali studi nel fornire nuove prospettive sul funzionamento del cervello.
La negazione interagisce con altri fattori linguistici come il contesto del discorso e la pragmatica, quindi la negazione può ritrarre una realtà in modo impreciso: un articolo di Coopmans e altri, che cita il lavoro di Zuanazzi, fa l’esempio di un bambino che tiene fastidiosamente il dito vicino al viso di suo fratello. Se i genitori lo volessero rimproverare e gli chiedessero cosa sta facendo, il bambino risponderebbe “Non lo sto toccando”. A livello logico la frase è vera, ma non ci restituisce la complessità dello scenario, in cui il fratello infastidito è giustificato. La negazione è quindi un’astrazione prodotta dal cervello umano, ed è in qualche modo separata dalle condizioni puramente fisiche. Concludendo il suo discorso, il Prof. Moro ha evidenziato la necessità di ulteriori ricerche per comprendere appieno come il cervello gestisca la negazione e la sua complessità.
DI seguito il link all'articolo: https://ilbolive.unipd.it/it/news/scienza-ricerca/ricerca-negazione-sfuggente-nostro-cervello